STOREP CONFERENCES, STOREP 2016 - Engines of growth and paths of development in the minds of analysts, policy makers and human beings

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La governance dei sistemi infrastrutturali tra centralizzazione e decentramento: il caso della riforma portuale in Italia
fabio carlucci, lucio siviero

Last modified: 2016-06-11

Abstract


La letteratura specialistica fa riferimento ad un’organizzazione dello Stato che si caratterizza per il trade-off tra accountability e coordinamento istituzionale: in un sistema politico accentrato il coordinamento istituzionale è massimo, laddove il livello di accountability è minimo. Al contrario, il decentramento amplifica le sovrapposizioni istituzionali ma aumenta il grado di accountability della politica. Siffatta circostanza ha spinto a ritenere che la devolution ad un livello intermedio, ad esempio regionale, possa costituire il miglior compromesso in termini di responsabilizzazione della classe politica e di coordinamento tra le istituzioni. Nel caso delle infrastrutture portuali in Italia con la legge 84/94, la cosiddetta prima liberalizzazione dei porti, si è scelto un modello di decentramento che ha dato, nel tempo, una sempre maggiore autonomia organizzativa alle Autorità portuali, istituzioni locali molto lontane dai modelli di Authority come organismi regolatori dei mercati, fino alla loro quasi completa autonomia finanziaria. Tale autonomia ha mostrato notevoli limiti principalmente in termini di produttività, efficienza e sfruttamento della capacità multiservizi dei singoli porti, di fatto allontanandoli da logiche sinergiche di sistema, tipici fattori di competitività nel caso di reti infrastrutturali di trasporto interconnesse a livello globale. L’attuale fase di lenta uscita dalla crisi globale e del conseguente riassetto dei traffici internazionali di merci, vedono l’attuazione della seconda riforma portuale ispirata fondamentalmente al principio della “ricentralizzazione” di funzioni e poteri decisionali. Le scelte, però, in tali contesti, sono prevalentemente dipendenti da variabili esogene al sistema economico-amministrativo locale e nazionale. Il posizionamento competitivo dei porti non è di per sé sufficiente a garantire domanda di servizi in relazione all’andamento dei traffici commerciali su scala internazionale, alle strategie dei grandi operatori globali, al contenuto tecnologico innovativo richiesto, alla produttività ed all’efficienza tecnica ed economica di funzioni e servizi offerti. L’articolo vuole offrire un contributo di riflessione sull’effettiva capacità e/o necessità dei sistemi economici di adeguare la governance di complessi sistemi infrastrutturali ai mutamenti che intervengono su scala globale. Sistemi che vedono la partecipazione di numerosi soggetti economici le cui scelte sono influenzate dal modello di regolazione e controllo esercitato dal soggetto pubblico decentrato, le Autorità portuali, nei confronti dei soggetti privati facenti parte del mercato di riferimento, a sua volta derivante da deleghe autonomistiche più o meno ampie date dal livello amministrativo centrale. La letteratura specialistica fa riferimento ad un’organizzazione dello Stato che si caratterizza per il trade-off tra accountability e coordinamento istituzionale: in un sistema politico accentrato il coordinamento istituzionale è massimo, laddove il livello di accountability è minimo. Al contrario, il decentramento amplifica le sovrapposizioni istituzionali ma aumenta il grado di accountability della politica. Siffatta circostanza ha spinto a ritenere che la devolution ad un livello intermedio, ad esempio regionale, possa costituire il miglior compromesso in termini di responsabilizzazione della classe politica e di coordinamento tra le istituzioni. Nel caso delle infrastrutture portuali in Italia con la legge 84/94, la cosiddetta prima liberalizzazione dei porti, si è scelto un modello di decentramento che ha dato, nel tempo, una sempre maggiore autonomia organizzativa alle Autorità portuali, istituzioni locali molto lontane dai modelli di Authority come organismi regolatori dei mercati, fino alla loro quasi completa autonomia finanziaria. Tale autonomia ha mostrato notevoli limiti principalmente in termini di produttività, efficienza e sfruttamento della capacità multiservizi dei singoli porti, di fatto allontanandoli da logiche sinergiche di sistema, tipici fattori di competitività nel caso di reti infrastrutturali di trasporto interconnesse a livello globale. L’attuale fase di lenta uscita dalla crisi globale e del conseguente riassetto dei traffici internazionali di merci, vedono l’attuazione della seconda riforma portuale ispirata fondamentalmente al principio della “ricentralizzazione” di funzioni e poteri decisionali. Le scelte, però, in tali contesti, sono prevalentemente dipendenti da variabili esogene al sistema economico-amministrativo locale e nazionale. Il posizionamento competitivo dei porti non è di per sé sufficiente a garantire domanda di servizi in relazione all’andamento dei traffici commerciali su scala internazionale, alle strategie dei grandi operatori globali, al contenuto tecnologico innovativo richiesto, alla produttività ed all’efficienza tecnica ed economica di funzioni e servizi offerti. L’articolo vuole offrire un contributo di riflessione sull’effettiva capacità e/o necessità dei sistemi economici di adeguare la governance di complessi sistemi infrastrutturali ai mutamenti che intervengono su scala globale. Sistemi che vedono la partecipazione di numerosi soggetti economici le cui scelte sono influenzate dal modello di regolazione e controllo esercitato dal soggetto pubblico decentrato, le Autorità portuali, nei confronti dei soggetti privati facenti parte del mercato di riferimento, a sua volta derivante da deleghe autonomistiche più o meno ampie date dal livello amministrativo centrale.

Keywords


decentramento, autorità portuali, porti, modelli di governance